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Moore, Marianne Craig.

Poetessa statunitense. Rimasta a lungo estranea al mondo letterario, a causa dei suoi insuccessi scolastici nel campo umanistico, ebbe i primi contatti con esso solo nel 1917, quando si trasferì a New York e cominciò a collaborare con la rivista d'avanguardia "Others". I primi versi della M. (Poems, 1921) furono pubblicati a sua insaputa da due amiche ed ottennero un notevole successo, poi ripetuto nel 1924 con Observations. Anche per l'autorevolezza così raggiunta le fu offerta la direzione della rivista letteraria "The Dial", che tenne dal 1925 al 1929, diventando una delle protagoniste del dibattito sul rinnovamento della poesia americana. Benché ella fuggisse la piatta identificazione con qualsiasi tendenza letteraria, è lecito rilevare la sua vicinanza alla poetica imagista (V. IMAGISMO) di Eliot e di Pound, in una predilezione dell'immagine come strumento del "vedere" e "dire". Questi due processi, infatti, erano per la M. inscindibili e la condussero a quell'uso dell'analogia, del simbolo, dell'allegoria che furono la peculiarità della sua espressione letteraria. Il linguaggio dei versi della M. offre infatti una essenzialità, priva di orpelli e di elementi superflui, che origina dall'attenta ricerca della parola esatta, in un labor limae quasi parnassiano; parallelamente la cura dedicata al metro e al ritmo è elevatissima, assumendo per questa via toni quasi parlati. A tutto ciò l'autrice aggiunse il gusto poundiano della citazione dotta e preziosa, che mira a rivalutare il dettaglio, lo spazio e il tempo circoscritti degli oggetti poetici, creando una rete di referenze e corrispondenze più vaste. Fra le sue opere ricordiamo: Selected Poems (1935), Il pangolino ed altri versi (1936), Che cosa sono gli anni (1941), Oh, essere un drago (1959), Dimmi, dimmi (1966). Tradusse inoltre le Favole di La Fontaine (1954) (Saint Louis, Missouri 1887 - New York 1972).